Il significato delle parole

(La Gazzetta del Mezzogiorno, 20 aprile 2013)

«Ridare alle parole il loro significato»: per don Dario Viganò, direttore del Centro televisivo vaticano, l’erosione delle parole chiama oggi la Chiesa a misurarsi in tema di comunicazione e di evangelizzazione. Doppio anniversario. A cinquant’anni dalla «Pacem in Terris», enciclica di Giovanni XXIII dell’11 aprile 1963, e dall’«Inter mirifica», documento conciliare (4 dicembre ’63) passato alla storia del rapporto tra la Chiesa cattolica e i mezzi della «comunicazione sociale», monsignor Viganò ha presentato in Santa Croce «Il Vaticano II e la comunicazione», prezioso volume su «Una rinnovata storia fra Vangelo e società».

In un momento storico in cui «possibilità inedite di comunicazione» freneticamente si avvicendano, superandosi, don Oronzo Marraffa, parroco di Santa Croce, aveva trovato l’assist giusto: «La persona, bisogno e dono di comunicazione». L’autore lo ha raccolto, ricostruendo il contesto in cui, mezzo secolo fa, Chiesa e «apparato comunicativo» cominciarono a «parlarsi»: il disgelo fra le grandi potenze nello scacchiere internazionale (1963); in Italia Fanfani e il primo governo di centrosinistra (’60-’62), e l’esplosione della Rai di Ettore Bernabei: da 3,5 a 6 milioni di abbonati tra il ’63 e ’65, telecamere per la prima volta all’extra omnes. Infine, dirompente novità, Angelo Roncalli che, morto Pio XII, diventa papa a 77 anni: doveva essere di passaggio, si rivelò «persona regalata dallo Spirito».

Vaticano II, si srotola tra ricordi e letture dal testo il racconto di Viganò: l’indizione conciliare (25 gennaio ’59) accolta con freddezza dalla curia romana e dalla stampa vaticana; la preparazione del Concilio, da Giovanni XXIII strategicamente affidata alla Segreteria di Stato e non al Santo Uffizio; il travagliato percorso di Inter mirifica, il cui testo passa dai 114 paragrafi di partenza ai 24 finali. Ma la questione-comunicazione era ormai lanciata, spinta dalla necessità della Chiesa di «ridisegnare se stessa», contro gli «inutili profeti di sventura» ancorati al passato. E l’Inter mirifica, «poco letto e molto criticato», fu portatore di una novità assoluta: per la prima volta un documento conciliare «apriva» ai mezzi di comunicazione di massa, sciogliendo tensioni e rompendo tabù.

Nel 1964 – ricorda Viganò – i Padri conciliari assistono alla visione del «Vangelo» pasoliniano che «sbalordì» monsignor Capovilla: «Rilesse e comprese appieno Matteo grazie a Pasolini, comunista e omosessuale». I media, insomma, diventavano variabile-chiave per «ridisegnare la presenza della Chiesa nel mondo». Così come oggi «riappropriarsi del valore semantico delle parole» è esercizio e sfida per la nuova evangelizzazione. Perché – chiude don Dario Viganò – «si comunica non ciò che si dice, ma quello che l’altro comprende». Come le braccia aperte «inclusive» di Papa Francesco.

(Francesco Romano)